Cesare Ragazzi, pioniere delle protesi per capelli, muore a 83 anni

Cesare Ragazzi, noto imprenditore e personaggio televisivo, è diventato famoso negli anni ‘70 per l’invenzione e la promozione pubblicitaria di una protesi per capelli: un trapianto applicato direttamente sul cuoio capelluto. Il suo slogan iconico, “Può succedere di tutto a un calvo che ha un’idea meravigliosa in testa”, lo ha reso un volto familiare in tutta Italia. Ragazzi si è spento all’età di 83 anni.

Chi era

La sua carriera ebbe inizio in un seminterrato a Bazzano, oggi capitale di Valsamoggia, dove aprì il suo primo laboratorio nel 1968. Da lì, costruì un impero: fino al 2009, quando la sua azienda venne dichiarata fallita dal tribunale di Bologna, Ragazzi aveva aperto ottanta centri in Italia e otto all’estero. La sua inconfondibile frase d’apertura, “Ciao! Sono Cesare Ragazzi”, era diventata un marchio di fabbrica, entrando anche nel linguaggio comune.

Lascia la moglie Marta e tre figli: Nicola, Simona e Alessia.

Il fallimento

Il suo impero, un tempo florido, non esiste più. “L’azienda è stata acquistata sei anni fa da un fondo d’investimento inglese. Nel frattempo, ho brevettato un altro tipo di impianto per capelli, sicuro e funzionale, che vorrei vendere”, raccontava Ragazzi.

I clienti VIP

Cesare Ragazzi annoverava tra i suoi clienti anche personaggi famosi. “Giocatori di Serie A e B, ciclisti, motociclisti. Star della TV […]”, confidava. Tuttavia, nessuno ammetteva mai di essersi sottoposto a un trapianto di capelli. “Avrebbero confessato un omicidio più facilmente”, scherzava.

C’è però un’eccezione: Massimo Boldi. “Sì, sono stato uno dei primi clienti di Cesare Ragazzi”, ha raccontato recentemente l’attore in un’intervista al Corriere della Sera. “Mi mostrava la qualità della protesi dicendomi: ‘Tira, tira, non si stacca.’ Ci nuotavo pure. La prima protesi funzionava bene, ma poi la calvizie si è estesa, ho cambiato impianto e le cose sono peggiorate. Dopo una settimana, mi sono svegliato di notte con un bruciore terribile: la plastica faceva un ‘cri cri’, la mia testa sanguinava, e ho dovuto toglierla. Alla fine, ho rinunciato.”

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